Sedicesimo giorno prima delle Calende di luglio
Padrone, padrone, ascolta, ho grandi notizie! - irruppe Castore.
Aurelio levò lo sguardo dalla Chorografia di Pomponio Mela, il nuovo volume che i Sosii, proprietari della libreria più fornita dell'Urbe, gli avevano recapitato poco prima. Il trattato era interessante e Aurelio, curiosissimo com'era di tutto quanto concerneva la scienza geografica, ebbe un moto di disappunto.
“Speriamo che le novità valgano l'interruzione”, si disse, apprestandosi ad ascoltare il liberto. - Vieni dalla caserma? - chiese.
- Caserma e teatro: dopo tutti quei gladiatori, ho dovuto rifarmi gli occhi. Dunque, ascolta: Chelidone, terminata la libera cena, è uscito con la sua combriccola, e si è fatto accompagnare da Nissa, mentre Aufidio, furibondo, cercava di trattenerlo. Il suo atleta migliore che si dava alle gozzoviglie, proprio la sera prima del combattimento! Tuttavia non è riuscito a fermarlo: il reziario era troppo famoso per acconsentire a farsi trattare come un qualunque sottoposto.
- Così, il campione ha trascorso la notte fuori...
- È rientrato in caserma due ore prima dell'alba. Il lanista era già disperato, temeva che dimenticasse persino di presentarsi nell'arena - raccontò il liberto, soddisfatto del lavoro svolto. - E non è tutto: mi sono anche informato sul posto che occupavano i Sergii nell'anfiteatro, il giorno dei ludi. Anziché sedere nelle tribune con gli altri notabili, Maurico e sua sorella si trovavano tra gli addetti ai lavori, proprio accanto all'ingresso dei gladiatori!
- Ottimo, Castore! Questo spiega molte circostanze: sarebbe stato facilissimo, per uno di loro, avvicinare Chelidone nel ridotto, prima del combattimento, per propinargli qualcosa - congetturò Aurelio.
- Sei molto perspicace, domine. Tuttavia... – tergiversò Castore con aria ipocritamente dispiaciuta.
- Tuttavia? - incalzò il patrizio.
- I due sono giunti accompagnati da una ventina di persone, pronte a giurare che nessuno si è mosso per l'intera durata dei giochi.
- I testi si comprano - ipotizzò Aurelio, animato da una pallida speranza.
- Attorno c'erano altri cento spettatori, padrone: sarebbe stato arduo, non dico corromperli tutti, ma anche solo tentare di rintracciarli! - lo disilluse il liberto.
- Hai ragione, Castore, era un'idea sciocca.
- Non ho finito, domine: sembra che una donna sia stata vista aggirarsi per la caserma, proprio la notte precedente la morte di Turio; portava un velo e le sentinelle non l'hanno riconosciuta. Veramente, non si sono nemmeno dati un gran daffare per fermarla... alla faccia del regolamento, non è la prima volta che una gran dama passa la notte nella cella di un gladiatore.
Un velo, forse per celare un viso che nessuno doveva più vedere... Aurelio, turbato, rabbrividì.
- Magari, durante un colloquio con Turio, la misteriosa matrona ha scoperto che il reziario sapeva qualcosa riguardo all'omicidio di Chelidone. Forse quell'imbecille ha osato persino ricattarla; e il mattino dopo, eccolo stecchito nella sua cella! - arguì trionfante il senatore.
- Brillante deduzione, domine, ma c'è un particolare...
- Cos'altro? - sospirò il padrone, deluso.
- La sconosciuta è entrata nella cella di Eliodoro, il gladiatore siculo, non in quella di Turio - lo raffreddò definitivamente Castore, con una certa gioia maligna.
- Ah! - fu l'unico commento che Aurelio seppe trovare. - Così, in definitiva, non hai scoperto niente.
- Come, niente? Ho lavorato come un mulo per liberarti da un sacco di false piste! A proposito, qui c'è la lista delle spese - ribatté il liberto, offeso; e, intascato velocemente il compenso, scomparve prima che il padrone potesse controllare il conto.
Aurelio sedette di nuovo sulla panca di marmo del peristilio e riprese in mano il testo di Pomponio, per confrontarlo con la Geografia di Strabone. Com'era grande il mondo, e quanto poco se ne sapeva ancora! Terre sconosciute, uomini selvaggi, animali mitici, veleni mortali che i barbari sciti distillavano dal siero della vipera, e i celti dalle piante del bosco... ed ecco il tossico terribile dei soani del Caucaso, che si diceva uccidesse solo ad annusarlo!
Il patrizio alzò gli occhi dal rotolo, pensieroso, e guardò fisso le aiuole, dove coltivava le diverse specie di vegetali esotici procuratigli dai suoi agenti nelle varie province dell'Impero: nella vasca marmorea verdeggiava il papiro egiziano, insieme al delicato fiore dei lotofagi, che procurava l'oblio, mentre il boschetto di canne orientali, alto quasi come le colonne del porticato, svettava tra la statuetta della dea Fortuna e un bel Cupido di bronzo.
Il senatore si alzò, avvicinandosi al piccolo canneto.
Come colto da un dubbio improvviso, spezzò uno stelo e lo tenne in mano a lungo, osservandone l'interno: un lungo tubo cavo... Avvicinò il tubo alla bocca e provò a soffiare... Sì, era possibile. Eccitato, raccolse una piccola bacca rotonda e la incastrò nella canna, gonfiando i polmoni.
Il proiettile sfrecciò lungo il colonnato, e sorpassò fulmineo la porta del tablino.
- Ahi! - gridò Servilio che stava entrando, tenendosi una mano sulla tempia. - Cosa ti salta in mente?
- Ti chiedo perdono, mi stavo dedicando a una prova – si scusò Aurelio, ma l'amico non parve formalizzarsi. Nemmeno il graffio sul volto riusciva a mascherarne l'espressione trionfante.
Il patrizio temette il peggio.
- Vengo dal teatro - esordì infatti il cavaliere, gonfio di orgoglio. - Vittoria!
“Dei dell'Olimpo, è fatta, povera Pomponia!”, si afflisse in cuor suo il senatore.
- Ieri notte. Temevo che Nissa non accettasse di vedermi, invece... Ci crederesti? Non solo mi ha ricevuto, ma... - E, rosso rosso, Servilio trasse dalla manica della tunica un pezzetto di lino ricamato. - Lo riconosci? - ammiccò.
Aurelio si abbandonò sulla panca, sconsolato. Certo che lo ricordava: l'ultima volta che l'aveva visto ricopriva sommariamente l'inguine dell'attricetta!
Gli occhi del cavaliere brillavano di soddisfazione.
- Ah, che donna! - esclamò con aria sognante. – Ma come, non ti congratuli?
- Certo, certo, Tito... - esitò il patrizio.
- Per te è normale ricevere i favori di una signora! – disse Servilio senza nascondere l'irritazione. - Bello sforzo: sei giovane, ricco, piacente... io sono sempre stato lieto delle tue conquiste, e adesso che è il mio turno, pare quasi che tu ne sia invidioso!
- No, no, Servilio, che dici? Anzi, sono molto contento...
- Davvero? Non sembra proprio! Ti brucia, che mi abbia preferito a te, nevvero? Ti facevo meno meschino.
- Non è così, Tito, credimi... penso solo a Pomponia.
- Ebbene? Nell'Urbe ci sono più lupanari che templi e, anche senza contare le meretrici di mestiere, questa città ribolle di donne disponibili: etere, cortigiane, concubine, liberte dai costumi disinvolti... Persino le matrone, ormai, si danno un gran daffare, alla faccia della pudicizia e della castità coniugale; e io, in trent'anni di matrimonio, non potrei concedermi un'unica, piccola marachella?
- Fa' almeno in modo che tua moglie non lo venga a sapere! - supplicò Aurelio.
- Come vuoi che lo scopra? Non ho lasciato alcuna traccia... Numi, il belletto di Nissa sul bordo della tunica! – scappò via il cavaliere, mentre Aurelio scuoteva la testa in segno di disapprovazione.
- Ehm... - tossicchiò Castore alle spalle di Aurelio, dopo essere riapparso dal nulla. - Se ho ben interpretato la soddisfazione del cavaliere, mi devi qualche sesterzio - gli rammentò.
- Giurerei che qui sotto c'è il tuo zampino, disgraziato di un greco! - tuonò Aurelio consegnandogli i soldi, e mai scommessa fu pagata più malvolentieri.